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Acqua e energia beni comuni: un referendum sulla vita

Mario Agostinelli ,Golem Giugno 2011

Si è tentato in ogni modo di sequestrare l’informazione e di esorcizzare il  dibattito sui referendum nello scellerato tentativo di sottrarre ai cittadini la più cogente e costruttiva opzione sul futuro che l’agenda politico-sociale abbia riservato negli ultimi anni agli elettori. Evitare il quorum è stato e rimane l’ossessivo obiettivo di cinque mesi di trucchi governativi, ma purtroppo il tempo sottratto alla discussione ci ha impoverito di una riflessione e di una maturazione collettiva sullo spostamento dell’attenzione  dall’economia alla vita. Invece, partendo indipendentemente dal rifiuto della privatizzazione dell’acqua e  dal rigetto definitivo del nucleare e utilizzando il confronto pubblico come un’esperienza civile insostituibile, sarebbe potuta crescere una lettura  coerente sul saccheggio passato e futuro che ha condotto alla rarefazione delle risorse necessarie e indispensabili a vivere , alla mercificazione e monetizzazione di ogni forma di vita e salute, alla privatizzazione delle decisioni pubbliche relative alla valorizzazione e uso dei beni  e dei servizi comuni. Ma non ci è stata data la possibilità di una discussione limpida e si è così volutamente indebolita quella funzione di spartiacque discriminante tra due concezioni opposte che l’istituto del referendum sa svolgere positivamente nelle fasi storiche, come è avvenuto ad esempio ai tempi del divorzio e dell’aborto.  Perché di vera discriminante si tratta per l’appuntamento di Giugno e i casi dell’energia e dell’acqua sono tra i più emblematici e di rilevanza strategica per il divenire delle società umane e della biosfera che caratterizza il pianeta.

Perciò proverò qui di seguito ad impostare la questione dell’alternativa tra atomo e sole non solo sul piano della sfida tra tecnologia e sicurezza, o del conflitto tra interpretazione prometeica e precauzionale del ruolo della scienza, ma, utilizzando continue allusioni alla metafora dell’universo, richiamerò la messa in discussione della sopravvivenza della specie, la necessità di una condivisione dello spazio e del tempo tra uomo e natura, la constatazione dell’incompatibilità tra giustizia sociale e spreco dei beni comuni, stringendo così nucleare e acqua dentro un’unica interpretazione.

Niente cattura l’attenzione quanto l’accostamento delle parole vita e universo. La

grandezza dell’universo è legata alla sua età – circa 13 miliardi di anni – ma questa

longevità non è affatto una coincidenza. Ci sono voluti miliardi di anni per

formare i mattoni necessari a qualunque forma di complessità chimica come quella

del fenomeno che chiamiamo «vita», così dipendente – come sappiamo – dall’acqua. Tali mattoni si sono formati in seguito a una lenta sequenza di reazioni nucleari all’interno delle stelle: dall’idrogeno all’elio e, su su per peso atomico, fino al carbonio, all’ossigeno, all’azoto (componenti essenziali per la vita), e ancor più su al ferro, fino all’uranio, relativamente instabile. Se l’universo non avesse tanto tempo sarebbe così denso di energia in tutti i suoi punti da non consentire pianeti raffreddati e stelle assai distanti che li irraggiano e li illuminano. Il fatto che ci siano esseri viventi e, quindi, osservatori come noi, risulta possibile perché l’universo, puntiforme ai tempi del big bang, ha raggiunto col trascorrere di un grande lasso di tempo dimensioni pari a miliardi di anni luce e si è raffreddato, a tal punto che è stato possibile che su un Pianeta del sistema solare  sia apparsa la vita che si è evoluta e differenziata fino ai nostri giorni e che verrebbe meno senza acqua o con troppo consumo istantaneo di una energia accumulata nei millenni, quando l’uomo non abitava ancora la Terra.

La vita di cui facciamo parte prendendone coscienza, è un fenomeno recente, fragile,

che si nutre quotidianamente di energia esterna che proviene dal sole per mantenersi e riprodursi. Un’energia diffusa, discontinua, decentrata, che viene intrappolata grazie alla fotosintesi e immagazzinata nelle molecole dei carboidrati prima che sfugga nello spazio sotto forma di calore. L’intera biosfera fa da accumulatore e trasduttore dell’energia solare, alimentando il sistema biologico e trasferendo il calore dalle zone calde alle più fredde e svolgendo la funzione di termoregolatore del clima. L’esistenza degli oceani e dei mari – l’acqua !- fa sì che una buona metà dell’energia solare incidente venga as­sorbita dai processi di evaporazione  e sia trasportata dall’equatore ai poli sotto forma di “calore latente”, cioè di aria umida che si trasforma in pioggia o neve. Ad ingentilire il clima sulla terra concorre anche la biodiversità, dato che i differenti organismi si comportano come trasduttori specializzati nel degradare l’energia solare attraverso una catena di piccoli salti.

Perché questa lunga digressione? Perché ricorrere al sole e alle tecnologie energetiche associate alle fonti naturali corrisponde a sintonizzarsi temporalmente e spazialmente con i processi vitali sopra descritti. Mentre, invece, far ricorso alla combustione istantanea  di composti fossili – carbone, gas, petrolio – immagazzinati nelle viscere della terra come frutto di milioni di anni di lavoro del sole sulle primitive forme di vita, significa tendere a riprodurre oggi le condizioni chimico-fisiche di un pianeta in cui l’uomo non era ancora apparso, perché non sarebbe sopravissuto per l’eccesso di anidride carbonica e per l’elevata temperatura. Ma c’è di più: dal secolo scorso l’uomo ha escogitato una ulteriore forma di conversione di energia per soddisfare il suo eccesso di produzione e consumo, che non ha nulla a che vedere né con la combustione né con la vita presente o passata. Si tratta della trasformazione di massa in energia, ottenuta in una macchina apposita, chiamata reattore nucleare. Una macchina che concentra in uno spazio contenuto una densità di energia spaventosa, incompatibile con la vita che la circonda. Una energia che, se esce dal controllo e si libera nella biosfera, produce effetti e lascia scorie che modificano gli equilibri naturali e ci allontanano dalle condizioni in cui è nata e si è riprodotta la specie umana. Non a caso le emissioni intorno ai reattori e le scorie atomiche intaccano nel profondo i tessuti cellulari e decadono con tempi di migliaia di anni.

Andando al cuore del problema, un reattore a fissione funzionante come quelli ad altissima potenza che Berlusconi vuole acquistare da Sarkozy, è in termini energetici un incidente latente “moderato e controllato”. Contenuto e tenuto a bada da barre, circuiti di raffreddamento, contenitori a tenuta stagna, complessi sistemi software, fintantoché non se ne scopre l’insostenibile contenuto termico e radiante, a seguito di qualche malfunzionamento non eliminabile in principio, in quanto dovuto all’ambiente reale di cui l’impianto è entrato a far parte. Un contesto vero e non sulla carta, come quello dell’incidente effettivamente accaduto di Fukushima, fatto di eventi e catastrofi naturali, di errori umani, di inaffidabilità gestionale e tecnica connaturati  alla vita quotidiana. In realtà, la terrificante densità energetica delle trasformazioni atomiche controllate (la fissione di un grammo di uranio corrisponde alla combustione di 2 tonnellate di carbone), è incompatibile con la capacità e la velocità di smaltimento della biosfera che ci circonda e alimenta: al punto che quando la “macchina” si rompe, gli effetti si propagano nello spazio e nel tempo ben oltre i limiti della nostra esperienza.

La scelta di abbandono del nucleare non è quindi roba da ingegneri, ma riflessione alla portata di qualsiasi persona responsabile ed è per questo che il referendum, – non qualche emendamento dell’ultima ora! – diventa anche questa volta decisivo.

Scegliere tra sole e atomo comporta un  cambio nella scala dei tempi, una riconquista di una dimensione non distruttiva del nostro rapporto con la natura, che favorisce la ricerca di produzioni socialmente desiderabili, la creazione di occupazione e lavoro stabili, in riequilibrio finalmente con l’eccesso di schiavi meccanici forniti dai fossili e dal nucleare ad un carissimo prezzo. Come potremmo allora riconquistare l’acqua pubblica, senza tener conto della cogenza della crisi climatica, del consumo dell’”oro blu” per tradurre il calore della combustione dei fossili e della fissione dell’uranio in consumi innaturali, senza chiarire che, se la sosteniamo col consenso popolare, siamo alla più grande svolta di politica economica dopo lo sconquasso liberista, che prevede il ritorno nel campo dei beni comuni del sole e dell’acqua, due fonti di vita, di giustizia climatica e sociale, di lavoro qualificato e di occupazione dignitosa?