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La sinistra oltre il proprio orticello. Tutto finito dopo Firenze?

articolo pubblicato dal manifesto del 17 Aprile

Solo un mese fa un gruppo rappresentativo di persone, aderenti all’appello per una lista unica alle Europee e allarmate per la democrazia italiana e per l’insensatezza delle divisioni della sinistra, si incontrava in una partecipata assemblea a Firenze. Col sostegno di firme prestigiose, chiedeva ai rappresentanti delle forze politiche un estremo sforzo per non requisire entro lo steccato di partiti in concorrenza tra loro la rappresentanza di un’area vasta di cittadini che non accettano per sé le discriminanti che producono frammentazione a sinistra. La prospettiva evocata non era certo quella della nascita entro Giugno di un nuovo soggetto politico, quanto consentire una rappresentanza plurale di un insieme di componenti: comuniste, socialiste, ambientaliste, femministe, che puntassero sulla difesa della Costituzione e sulla tenuta della CGIL per recuperare una base popolare frastornata dall’implosione del PD a definitivo compimento dell’esperienza storica del PCI.

Al rigetto dell’appello sono seguiti un silenzio ed una rassegnazione impressionanti.

Ma perché tacere le implicazioni negative di quel rifiuto e non continuare oggi a perseguire, guardando oltre il “giudizio di dio” delle elezioni, il progetto evocato a Firenze? Come altrimenti non subire l’obiettivo della soglia del 4% come una strategia impropria per rafforzare discriminanti a sinistra e per esorcizzare, se raggiunto, la crisi dei partiti, non certo rimediabile con l’abnegazione dei militanti in campagna elettorale?

A questo proposito, mi ha colpito la nitidezza dell’articolo sul Manifesto dell’8 Aprile a firma di Alberto Burgio e Claudio Grassi. Con il consueto rigore, essi chiariscono come l’operazione della lista PRC-PdCI sottintenda la nascita di un nuovo soggetto politico, dotato di una propria “narrazione”, fondata sulla continuità con l’analisi anticapitalista che il “trasformismo dei gruppi dirigenti” ha invece abbandonato dopo l’89.

Non è un caso che non si citino i movimenti di fine secolo e – ad esempio – le innovazioni della multiculturalità, dei beni comuni e del valore intrinseco della natura assunte, assieme all’estensione delle libertà civili e alla lotta al patriarcato, nelle “narrazioni” che si sono fatte strada con i movimenti da Porto Alegre, a Genova, fino a Belem. Scenari di conflitti inediti con le destre, che chiamano in causa la sopravvivenza e l’autodeterminazione e che stanno a cuore alle nuove generazioni. Invece, secondo Burgio e Grassi, che sottovalutano la ricerca e le lotte della sinistra radicale in questi anni, basterebbe riscoprire le proprie radici “tradite”. Non credo sia sufficiente. Aiuterebbe forse a spiegare perché oggi al gruppo dirigente di RC non importi molto se due eletti su tre alle regionali della Lombardia del 2005 sono costretti, in vista delle elezioni, a finire nel gruppo misto con i fuoriusciti da AN e Lega, proprio per la presunzione di una unicità di “narrazione” e di esclusività del partito nella titolarietà della rappresentanza. Esattamente quel che ritengo utile superare, per andare verso un soggetto politico rinnovato – che non prescinda certo da Rifondazione – e per montare sulle spalle dell’insegnamento del passato guardando avanti insieme, senza prove del sangue preventive.

Ho infatti apprezzato al Forum Sociale in Amazzonia la condivisione di una narrazione coerente e innovativa, sostenuta addirittura da cinque presidenti dell’America Latina ed ho incontrato una sinistra popolare degna del XXI secolo, che risponde a domande nuove e a cui non basta riscoprire le ricette del passato, nemmeno quelle ereditate storicamente dalla cultura della sinistra europea. Anzi, sul piano della democrazia e dei diritti questa sinistra va oltre le forme e i confini delle nostre costituzioni, con un’idea più avanzata e originale della partecipazione, del multiculturalismo, della funzione dei beni comuni e della natura. Penso che la posizione di Burgio e Grassi non contraddetta al proprio interno, che avrebbe un indubbio valore se non fosse escludente, punti purtroppo a ridefinire la geografia della sinistra italiana, proprio a partire dalla loro “narrazione” così bene incarnata dall’enfasi sul simbolo e dalla demonizzazione delle posizioni “concorrenti”.

Gli “altri”, quindi, dovrebbero starsene altrove senza speranza di concorrere alla pari alla ricostruzione della sinistra? La prova elettorale ha una sua durezza e la tentazione di dare ad essa un significato risolutore, con gli elettori che approvano l’operato degli apparati, è molto grande. Bisogna depotenziare questa interpretazione e tenere in vita le diverse ipotesi in campo a sinistra fuori da una competizione fratricida. Per questo mi sembra indispensabile che la lista “Sinistra e Libertà” risponda finalmente alle aspettative e, anche per intercettare le domande che il PD lascerà senza rappresentanza, rompa il circolo vizioso di un discorso politico che rimane finora fermo al contenitore e sottoposto alle dinamiche preponderanti dei vari partiti confluenti. Provi a misurarsi, in nome della partecipazione, sul percorso indicato, sempre sul Manifesto, da Pianta e Marcon, riscoprendo il valore del legame tra rappresentanza e territorio e tenendo così aperto lo spazio per una “narrazione” condivisa dal basso su cui conquistare il consenso.

In definitiva, occorre impedire una competizione elettorale che distragga le energie da una piattaforma estesamente elaborata a partire dalla ribellione ai continui divieti a cui la destra sottopone chi abita i nostri territori, dalla lotta contro la cancellazione del valore del lavoro, dal reciproco rafforzamento tra diritti sociali e rispetto del suolo e dell’ambiente naturale. Si può contare sulla definitiva convergenza di FIOM e FP nella difesa intransigente del potere contrattuale dei lavoratori e nel permanere di una confidenza dei cittadini nella rappresentatività delle amministrazioni locali a loro più vicine. Da lì – lavoro e territorio – si può ripartire per cercare risposta agli sviluppi di una crisi con gravissime ripercussioni sociali e che, con il frammentarsi irreversibile della sinistra, precipiterebbe a rotta di collo verso il populismo e l’astensione.