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Articoli, Modello Formigoni

LA LOMBARDIA E’ PERSA?

Mario Agostinelli, capogruppo Sinistra-Unaltralombardia

Sono portato a credere che la sinistra nazionale rimuova il caso Lombardia perché non vuole andare a fondo delle ragioni della sua sconfitta: così profonda dalle mie parti da non farle immaginare nemmeno una rivincita.

Ma come si può rimontare a Roma dando per persa Milano? A me sembra indispensabile analizzare il disegno organico ed elettoralmente pagante con cui il centrodestra ha attraversato per venti anni con inalterato consenso trasformazioni economiche e scomposizioni sociali sconvolgenti; capirne la portata e i pericoli per un Paese che elogia acriticamente “l’eccellenza del modello lombardo”; esporne infine i punti deboli e il declino a cui condanna gli abitanti, remunerando al presente solo le proprietà, gli affari e i profitti dei residenti, ma isolando dall’Europa un territorio strategico dilapidato di risorse civili e naturali.

Va detto che il centrodestra ha saputo investire sull’istituzione Regione individuandone una specificità trasversale che, nonostante l’antipolitica dilagante, non l’ha resa affatto ostica al mondo del lavoro e ai pensionati, tutt’altro che estranei alla base elettorale di Formigoni.

Mentre cambiavano modi e rapporti di produzione su scala globale, con effetti sulle migrazioni, sul clima, sul consumo di natura e territorio, con una redistribuzione del reddito con concentrazione della ricchezza nelle regioni più sviluppate, ma effetti tutt’altro che uniformi sulla povertà e l’esclusione, sul salario e sullo stato sociale, questo Presidente si è posto nella posizione del correttore a valle degli effetti più stridenti. La sua azione di governo ha approntato e fatto crescere una macchina di caritatismo compassionevole incentrata sulla Compagnia delle Opere come soggetto designato dal pubblico a funzioni riparatrici.

La sua Giunta– coperta da una formidabile azione di propaganda mediatica – non si è misurato con ingiustizie sociali da rimediare, ma solo con “sfortuna e disgrazie” a cui provvedere con una dose di filantropia clericale e con una dote personale elargita al singolo dal pubblico soccorrente. Così, liberismo comunitarismo e leghismo sono risultati naturalmente alleati per descrivere compiutamente una società ricca che affronta la globalizzazione difendendo, finchè possibile, i suoi privilegi. Insisto: finchè possibile e finchè si possono destinare risorse onerose e scarse a una crescita miope e senza contradditorio e così poco trasparente da produrre illegalità e corruzione nei settori portanti della sanità e dell’ambiente.

E’ per questo che questa destra padrona di una Regione con nove milioni di abitanti vuole alimentare con un federalismo becero – con l’incredibile consenso del “PD del Nord” – un modello che consuma più di quanto produce.

E’ ora quindi di cessare di rincorrere Formigoni come il “volto umano” del Cavaliere e di scoprire che la discesa dei ministri e plenipotenziari lombardi a Palazzo Chigi (Bossi, Calderoli, Gelmini, Maroni, Lupi e Castelli) è all’origine dell’attacco più crudo alle radici di democrazia sociale della nostra Costituzione. Un vulnus già sperimentato nelle leggi emanate dal “Pirellone”. Già, perché il successo delle destre in Lombardia – un mix di accentuazioni che rende interdipendenti Berlusconi, Formigoni e Bossi – ha prodotto un impianto legislativo da esportare, che ha messo alla porta il lavoro e la sua rappresentanza, ha promesso ricchezza ai locali con esclusione degli altri, ha offuscato il valore della laicità, ha reso pubblico il privato.

Tre mandati del “Celeste” hanno rinvigorito quei centri di potere economico-finanziario che hanno lanciato un liberismo d’antan, cancellando diritti e inclinando a destra l’asse culturale e il sentimento popolare. Venti anni rivolti a vanificare una stagione di avanzata sociale, quella della fine anni sessanta, che in Lombardia più che altrove si era retta sulle spalle delle rivendicazioni egualitarie delle tute blu, degli immigrati che venivano eletti delegati sindacali, degli studenti che dopo l’università rimanevano per scelta nella scuola e nella sanità pubblica.

Stagione metabolizzata nel desiderio di vivere e convivere un territorio che fino al periodo del boom era speculazione, produzione e devastazione e in cui tutti invece, finalmente, scoprivano uno spazio pubblico da ridestinare democraticamente a bene comune.

L’abbandono di quella politica e di quella cultura ha dei prezzi per il futuro. La Lombardia che rilancia Formigoni per un quarto mandato ha vissuto di un patrimonio straordinario di energie ereditate – sociali, professionali, naturali – che sta consumando e le energie di cui si nutre non sono rinnovabili.

Venticinque anni fa’ in Lombardia il rapporto consumo-produzione valeva 0,4; oggi vale 1,3. Dal 2008 la spesa per la salute impegnata nel settore privato ha superato quella pubblica. Sono 24.610.000 i metri quadrati di aree dismesse, che verranno riempite da centri commerciali, coperti da capannoni per la logistica e costellati da abitazioni servite da parcheggi e tangenziali di nuova fattura. Ma quanto potrà durare ancora l’indifferenza al cambiamento climatico (in Lombardia si emette un quinto di tutta la CO2 d’Italia), all’inquinamento atmosferico, al congestionamento spaziale del traffico, mentre la crescita di disponibilità monetaria con una iniqua redistribuzione del reddito ha peggiorato la qualità della vita e aumentato la crescita di insoddisfazioni e di paure?

Oggi, quando parte la corsa per le Regionali con sullo sfondo i grandi affari di Expo 2015, occorre andare all’attacco e costituire l’attrattore di una narrazione alternativa a quella della continuità del “modello Formigoni”. Questo è il compito delle forze politiche che hanno la responsabilità anche di ricostruire un’unità andata in frantumi perfino all’opposizione: osare, per incrociare quel desiderio di “ben vivere” rubato agli anni settanta e sconfitto dall’ideologia dell’esclusione, con un presente per ricchi e un futuro per pochi.

1 Commento

  1. daniele

    Due osservazioni:

    1) “Compassione e carità” non sono affatto un’esclusiva di Formigoni, né una novità. E’ la linea dei cattolici da sempre e ovunque. Diventano prevalenti quando un’intera tradizione politica – qualla socialista nelle sue varie declinazioni – disinveste in elaborazone, analisi e soprattutto azione. Sul lavoro c’è la Lega per il semplicissimo fatto che la sinistra ne è fuggita.

    Se il sindacato si mette a fare la corporazione di chi è già tutelato dismettendo la sua funzione politica di costruzione della coscienza e degli strumenti di promozione degli interessi di chi, lavorando, di tutele non ne ha, è normale che il suo peso si riduca col ridursi della sua platea di iscritti.
    E mi pare fuori di dubbio che – con qualche eccezione soprattutto tra i meccanici – si sia fondamentalmente dedicato al pubblico impiego e ai pensionati. Tutta la galassia di lavoratori “atipici” (e il solo uso del termine segnala a lacuna analitica da parte della sinistra) generata da leggi – peraltro anche dei governi di centrosinistra – è lasciata a se stessa. E se trova qualcosa nel PDL, nella Lega, o nella pelosa carità cattolica, beh… piuttost che nient…

    2) Ogni volta che da sinistra si parla di Lombardia, di Nord, di Milano, ecc. si ha la sgradevole sensazione che vi faccia tutto schifo. Io sono di sinistra, profondamente di sinistra e – ti dirò – proprio per questo, al contrario, io adoro questo territorio. Perché è un incredibile bacino di industriosità, di lavoro, di capacità manifatturiere, di spirito d’intrapresa (non solo di impresa, anche nel lavoro)… doti magnifiche e rare al mondo. Naturalmente con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti, ma un punto di partenza straordinario, per costruire civiltà e progresso (scusa il sapore un po’ retrò dei due termini, ma spero che ci intendiamo).

    Finché vi ponete come marziani che dall’alto cagano nel piatto i cui mangiano, beh, uno 0,2% alle elezioni mi sembra un risultato già eccessivo.

    cordialmente
    daniele,milano