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Aria, Inquinamento, Clima, Trasporti, Energia

CONVERSIONE ECOLOGICA: UN BILANCIO DOPO 20 ANNI

Vent’anni di Fiera delle Utopie Concrete e 20 anni dal mio incontro con Alex Langer. Proprio la primavera del 1988 venivamo invitati a Gazzada dal cardinal Martini per un seminario sui risvolti pastorali dell’impegno ecologico. Gli unici due laici – io per di più sindacalista della CGIL – tra vescovi e teologi curiosi, che collaboravano alla stesura di una bellissima lettera dell’Arcivescovo di Milano: 18 pagine sull’ecologia da diffondere in tutte le parrocchie ambrosiane. Venivo così in contatto con un’idea di organizzazione della sensibilità degli individui verso i valori e i diritti di una natura illuminata dalla presenza della vita e in feconda relazione con la persona. Un approccio ben diverso da quello per cui mi battevo – anche un po’ in minoranza – nel mio sindacato: una classe al lavoro, con un elevato senso etico e democratico collettivo, mobilitata per la giustizia sociale, ma non a sufficienza allarmata per come e quanto il sistema materiale di produzione industriale delle merci potesse distruggere irrimediabilmente l’ambiente circostante. Così, in quell’incontro, io spostavo la mia attenzione dalla trasformazione di materia e energia ad opera di macchine e capitali, verso una forma di empatia spirituale con quello che veniva definito “creato”, pulsante all’esterno, ma percepito internamente durante la vita di ciascuno come prestito delle generazioni successive. Anche la mia esperienza – singolare per quel consesso – di fabbriche e lavoro, così alienanti e soffocanti, ma anche così riscattati dalle lotte di emancipazione e di civiltà di quegli anni, veniva ad interagire con contributi diversi, al punto che, mi ricordo ancor oggi, Alex seppe proporne una sintesi che definì “conversione ecologica”. Non un atto intimista e tantomeno individuale, ma un processo multiculturale, di una pluralità di soggetti sociali, immerso nell’attualità del presente e nella società reale, spinto dalla consapevolezza di ciascuno di dover operare con tutti gli strumenti per assicurare il futuro della specie umana, garantire il domani della biosfera e, quindi, anche la propria riproduzione.

Proprio questo “frame” della conversione ecologica ha dato il via a una narrazione a contatto con le trasformazioni della produzione e del consumo, che non solo ha attraversato le varie edizioni della Fiera, ma ha fatto cultura nel Comitato Consultivo Europeo, fin da quando si è deciso di articolare la riflessione su terra, acqua, aria, fuoco. Si trattava allora di una prospettiva carica di ottimismo, lanciata da un palcoscenico di grande fascino – l’Alta Valle Tiberina – e rafforzata dalla crescita di un associazionismo ambientalista e solidale in radicamento nei territori. Non era ancora alle viste la ferocia delle guerre per l’accaparramento di risorse ormai scarse, che sarebbero diventate permanenti, favorendo autentiche mutazioni antropologiche delle popolazioni dei paesi ricchi.

Oggi quella intuizione non è meno necessaria, anzi! E’ tuttavia resa meno attraente ed è colpevolmente rimossa in una involuzione profonda ed allarmante della politica e dell’economia nel nostro Paese, da cui si distingue sempre meno un diffuso sentire comune. Basta pensare a come il ritorno al nucleare o il ricorso alle centrali a carbone entrino nei programmi del Governo e siano ammansiti con l’uso di ossimori incredibili e disgustosi, come “nucleare sicuro” o “carbone pulito”.

La globalizzazione liberista porta con sé problemi inediti e più acuti rispetto a 20 anni fa (si pensi alla emergenza climatica illustrata dall’insieme degli scienziati dell’IPCC) e i suoi effetti negativi cominciano a toccare nel profondo l’immaginario collettivo ed a produrre reazioni di massa rivolte a proposte alternative. C’è tuttavia un acuto contrasto tra le elites che guidano la globalizzazione e l’interesse delle popolazioni che vedono davanti a loro un futuro incerto e differenziato in base alla situazione geopolitica e al censo. Mai quanto negli ultimi ventanni nel mondo sono state impiegate energie intellettuali e materiali (si pensi all’impiego della scienza e dell’informazione, alle spese militari, alla commercializzazione dei beni comuni), per ancorare una parte minoritaria del pianeta a privilegi non estendibili e ad un modello di produzione e consumo in rotta di collisione con il mantenimento della biosfera. Eppure, sarebbero a disposizione i mezzi per affrontare le sfide sociali e ambientali per l’intero pianeta! Ma, mentre cresce la consapevolezza dell’abbandono di un modello di crescita distruttiva, gravido di ingiustizia sociale, nelle società ricche aumenta una volontà repressiva e viene fatta circolare l’illusione che l’appartenenza a alleanze politico-economico-militari eviti la catastrofe o, comunque, assicuri una tutela compassionevole per chi ne accetta i principi escludenti.

Di conseguenza è ancora più arduo il compito di una conversione ecologica in queste condizioni. Se essa non è accompagnata da soluzioni politiche credibili, da pratiche economiche diffuse, da una più gradevole e desiderabile forma di socialità e convivenza e dalla contemporanea consapevolezza individuale di un destino comune, la soluzione autoritaria e secessionista viene vissuta come l’unica realisticamente vantaggiosa di fronte alla crisi e all’incertezza.

L’esito delle ultime elezioni e la regressione del nord ricco stanno a dimostrare quanto più complesso sia oggi il nostro compito, ma non impossibile, se si uniscono contenuti e metodo. Così la risorsa dell’educazione unita alla fiducia nella partecipazione sapranno liberare le energie indispensabili al futuro della civiltà e alla sopravvivenza del pianeta.