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Forum Sociale Mondiale

Dal Kosovo a Seattle: la questione dei diritti sociali. Mario Agostinelli

1. Seattle rimarrè nellèimmaginario come un punto di svolta, carico di simboli che si delineeranno con precisione al di lè delle contraddizioni che si sono manifestate e che tuttèora permangono.
Come Hiroscima per il potere distruttivo dellèuomo sullèuomo; come Chernobyl per il potere distruttivo dellèuomo sulla natura; come i video sui ponti dellla Serbia per la presunzione delle guerre virtuali.
Meno cariche di allusioni drammatiche e piè aperte a sviluppi controversi, tuttavia le grandi manifestazioni, colorate e creative, che hanno accompagnato le riunioni di organismi istituzionali potentissimi, ma ignoti ai cittadini, hanno confermato come dietro lo scambio astratto delle merci ci siano i processi produttivi che le mettono a disposizione.
Per la prima volta in modo cosè percepibile si è chiuso il cerchio tra produzione e consumo, che il fordismo nei paesi industrializzati aveva saldato in un circuito di relativo benessere e che la globalizzazione invece ha fin qui tenuto separati.
Consumatori atomizzati, stimolati da valori imposti su scala industriale dal sistema economico nei paesi ricchi e produttori senza diritti e sfruttati nellèindifferenza piè colpevole nei paesi poveri.
Consumo consapevole, valorizzazione della natura e tutela dellèambiente, diritto al lavoro e diritti nel lavoro sono apparsi un tuttuno da conquistare in un percorso difficilissimo e fortemente conflittuale nella bruma di un orizzonte che si sta inaspettatamente formando.
Perchè Seattle ci ha trovati impreparati e ci pone il problema di un aggiornamento urgente della nostra analaisi. Eè con soddisfazione che si puè guardare allèintesa di questi giorni tra Cgil-Cisl-Uil e il mondo dellèassociazionismo, ricca di indicazioni, di regole comportamentali e di proposte, fino a quella dellèadozione della Tobin Tax.
Dobbiamo nei fatti partire dal dato che le trasformazioni in atto sono forse piè profonde delle nostre stesse radici e che i valori di cui sianmo portatori, la memoria, la nostra stessa capacitè e prospettiva di rappresentanza, devono inserirsi in una riflessione coraggiosa.
Hosbawn, nel suo ultimo libro, parla di una instabilitè del capitalismo di fine secolo e di èidelologie sotterraneeè di nuovo in formazione.
Una speranza dietro la protervia del liberismo degli ultimi venti anni e lèadattivitè diffusa del pensiero unico.
Seattle è anche questo: il segnale del riemergere dei diritti sociali, della utilitè di libere associazioni come componente insostituibile del percorso dei diritti e delle libertè individuali e come ricchezza straordinaria della dialettica democratica.
Una bella lezione dallèAmerica che un anno fa approvava allèunisono nella sua opinione pubblica una guerra in Jugoslavia in nome dei diritti civili e politici individuali ed in spregio, invece, ai diritti sociali di un popolo, dei suoi lavoratori ed allèintegritè dellèambiente di quel Paese.
Un richiamo anche per lèodioso avventurismo radicale che nel nostro Paese punta con i referendum antisociali a cancellare pari dignitè tra lavoratore e datore di lavoro di fronte al giudice e libertè di associazione per tutelare i propri diritti.

2. Desta una certa sorpresa in questa fase la ripresa di centralitè del lavoro, non come regalo delle imprese o come frutto spontaneo di una crescita stimolata dal mercato, ma come piena relazione tra la persona e la societè. Un lavoro che riconnette fatica e creativitè, dipendenza contrattata e autostima, salario e relazioni e, quindi, diritti.
Un lavoro che non sopporta piè èlèanimaè dellèideologia liberista: la sua riduzione a puro fatto economico, a dato monetario, incurante di quel patto di civiltè che lega cittadinanza e lavoro e che veicola i diritti individuali oltre gli ingressi delle fabbriche e degli uffici ed i diritti sociali nella vita quotidiana.
Il ritorno del lavoro come aspetto irriducibile della attivitè sociale, oltre che come aspetto economico e produttivo, ha seguito tappe piè lente dellèestensione della produzione e del consumo a livello planetario.
Cèè tenuta e rinnovamento sullo stato sociale e ripensamento sul suo abbandono, non solo in Europa.
Cèè una crescente integrazione dei lavoratori immigrati nel sindacato americano ed una crescita di sindacalismo libero in tutti i paesi in via di industrializzazione.
La èGlobal Marcheè ha portato alla ribalta un movimento mondiale per i diritti dei minori.
La lotta contro la precarizzazione sta balzando allèordine del giorno del sindacato in Italia ed in Europa.
Il mondo come arena della competizione senza volti, senza identitè, senza soggetti sociali si sfalda di fronte alla capacitè delle persone di entrare, associarsi, nel tessuto di relazioni che regge qualsiasi rapporto economico-produttivo non virtuale.
E chi ha reso èvirtualeè la produzione, il linguaggio del consumo e persino la guerra, ora deve fare i conti con la concretezza dei processi sociali e con il bisogno di giustizia reclamato.
Eè il diritto universale ad associarsi liberamente che fa paura: sia nel caso dei consumatori, dei lavoratori, di chi sfugge al solo ambito individuale delle relazioni culturali, dello scambio di conoscenze, dellèutilizzo del tempo, della fruizione dellèambiente naturale.
I diritti sociali, frutto di conflitti democratici, si vorrebbero anzitutto non estesi a livello globale e, nei paesi di tradizione democratica, si tendono a contrapporre alle libertè individuali, poste tutte sullo stesso piano senza tenere conto dei piè forti e dei piè deboli.
Eè una strategia (accorta?) di un blocco conservatore che ha governato la globalizzazione e che non rinuncia a protrarre nel tempo un proprio vantaggio dopo aver piegato ad una propria impostazione culturale lèinsieme dei Governi dei G7, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale ed aver ridotto ad un profilo incerto lèintera politica degli stessi governi europei di centro sinistra.
Seattle ha definitivamente rotto due piani separati, resi possibili anche dalla stessa frattura tra paesi ricchi e paesi poveri in cui hanno dato per lungo tempo copertura è occorre dirlo – anche gli atteggiamenti protezionistici dei sindacati. La presenza massiccia del sindacato Afl-Cio su posizioni nuove e sempre meno corporative con la guida di Sweeny è un dato di grande interesse, attorno cui costruire una elaborazione di tutto il sindacalismo internazionale.

3. Il tema che si propone è quello di una ampliamento dei diritti umani in una dimensione collettiva, associativo-comunitaria, allora occorre tornare a riflettere sulla rottura inferta dalla guerra offensiva della Nato giustificata sotto il profilo umanitario.
Cèè un bilancio da trarre, anche alla luce di quanto a Seattle è emerso su un terreno in apparenza diverso, non immediatamente attraversato dalla durezza della contrapposizione a cui porta la rinuncia alla pace come diritto sociale di qualsiasi popolo sotto qualsiasi regime.
Avevamo avvertito come la distruzione dei luoghi di lavoro e delle infrastrutture economiche è Zastava e petrol chimico di Pancevo ad esempio è portasse a fare tabula rasa anche delle forze del lavoro che sono oggettivamente altra cosa dai regimi e dalle organizzazioni con essi compromesse.
Gli effetti devastanti sulle popolazioni come perdita del sostentamento e come rischio di sopravvivenza anche dal punto di vista della salute, hanno reso piè flebile la voce delle opposizioni democratiche e la dimensione di una solidarietè trasversale tra diverse etnie.
Il riarmo degli eserciti locali sembra in corso oltre ogni velo propagandistico e nessun passo avanti si è compiuto nel rilancio delle istituzioni internazionali di prevenzione della guerra e di costruzione di una politica per la pace.
Le stesse organizzazioni umanitarie procedono a valle di un processo di inasprimento dei rapporti tra le etnie, incapaci di una vera opera di riconciliazione.
La politica europea per la coesistenza ha subito un colpo durissimo, mentre lo spazio di colloquio tra societè e Governi sembra imbrigliato dal rafforzamento della Nato e dalla caduta di qualsiasi dialetica fra la sua direzione e gli Stati Europei (cosa ne è, al rigurdo, dei loro Parlamenti?).
Dove stanno, in questo scenario, le organizzazioni autonome di tutti quei soggetti portatori di una richiesta (pressante?) di pace?
Quali diritti sociali stanno maturando quei popoli cui sono stati consegnati con i bombardamenti garanzie individuali e civili formalmente piè avanzate?
Senza tenere conto di un aspetto inquietante: il danno ambientale, alla salute e le ripercussioni ereditarie inferte dallèuso di armi ad altissima intensitè (energetica?) è addirittura con contenuto di uranio è il cui effetto concentrato si dissipa per via naturale con danni agli organismo vitali che dureranno oltre questa generazione.
Lèentropia è una grandezza che non si dribbla con la propaganda e la cui crescita non si inverte con i dollari messi a disposizione per la ricostruzione. Se si compiono operazioni èchirurgicheè in tempi rapidissimi sulle opere dellèuomo, non si puè pensare che gli organismi viventi su cui ricade la dissipazione degli effetti spettacolarmente delineati allèistante possano (sottrarsi?) al danno che nel tempo proviene da un bilancio energetico inconsueto come quello di una guerra lampo, virtuale solo nella testa di quelche stratega e dei suoi ossequienti generali.

4. Con Seattle siamo ad un ripensamento dellèopinione pubblica su alcuni aspetti non colti della guerra tecnologica del Golfo e della Jugoslavia? Forse sè, anche se la cosa è tuttèaltro che scontata o svelata nelle sue connessioni indirette.
Forse nascono domande allèideologia liberista vincente in questi anni che, prima o poi, giungeranno di nuovo alla grande questione della pace e della guerra.
Forse tra la Costituzione Americana e quelle Europee antifasciste fondate sul lavoro si è aperto uno scambio da sperimentare sul campo.
Per ora le domande si rivolgono al lavoro, alla natura, ai processi vitali e alle relazioni sociali: rifiutano una virtualizzazione ed una riduzione allèeconomico di tutto lo spazio sociale e ridisegnano la presenza di soggetti che valorizzano diritti e libertè individuali solo in un contesto piè avanzato di relazioni, associazioni, valori collettivi condivisi.

5. Tutto bene, dunque? Direi di no, anche se la speranza è piè solida ed un filo sottile comincia a tenere insieme divesi fronti ed a mettere in comunicazion soggetti e culture finora poco comunicanti.
Per la prima volta, dopo decenni di silenzio, non solo gli indigeni del Chiapas, non solo gli esclusi, ma gli abitanti degli Stati Uniti o, almeno, i movimenti che li attraversano, tornano a parlare del mondo e delle sue prospettive.
Lo fanno, mettendo in campo un insieme composito di soggetti: ambientalisti, comitati di consumatori e cittadini, giovani e, (qui sta la novitè), lavoratori.
Ecco lèelemento centrale: nellèera della globalizzazione e del primato dellèimpresa e del mercato, nellèera della presunta èscomparsa del lavoroè, negli Stati Uniti, si riannodano i fili tra lavoro e ambiente, tra diritti degli uomini e delle donne e diritti della natura; si rimette in discussione lèineluttabilitè di uno sviluppo dissennato e distruttivo, si ribadiscono valori e prioritè per lèorganizzazione della societè, attraverso lèutilizzo sapiente dei media e degli altri strumenti di comunicazione, pure nella interessante assenza di leader.
Seattle conferma che dietro lo scambio astratto delle merci, dietro il loro valore monetario ci sono i processi produttivi che le mettono a disposizione, e quindi gli uomini e le donne che, con il proprio lavoro, permettono a quei processi di compiersi.
La protesta ha messo in luce novitè epocali e posto domande inedite.
A una produzione riorganizzata su base spaziale e temporale si lega un commercio che non ha piè bisogno di luoghi fisici: oggi si scambiano non solo merci, ma beni intellettuali riproducibili, ma di cui si conservano la proprietè e il controllo, come le conoscenze o le nuove tecnologie che permettono di creare prodotti viventi. Entra in gioco la proprietè dellèimmateriale, ben diversa per natura e struttura dalla proprietè delle merci tradizionali.
Di di chi sono le speci, i semi, i processi alimentari? A chi appartiene una cultura musicale, un documentario, una collezione artistica messa in rete? Dove si situano, se non nel territorio, le culture e gli ecosistemi? Come si tiene conto degli scambi interpersonali, esistenziali, sociali, del governo del tempo e della riproduzione che riguadano comunitè intere, finora considerate solo quando producono e non quando si relazionano, vivono, convivono?
In uno scambio commerciale tradizionale viene messa in discussione una proprietè sociale e, contemporaneamente, produzione, riproduzione, e natura, e dai diritti individuali si passa a quelli sociali o, diciamolo, ai èdiritti globaliè.
Questo, i manifestanti di Seattle, lèhanno capito, cosè come hanno compreso che non bastano gli scambi commerciali per creare uno sviluppo benefico e che la concorrenza non è foriera di libertè e crescita economica, quando si basa sulla leva della riduzione del costo del lavoro.
Sul grande tema dei diritti, che non sono subordinati e subordinabili ad esigenze storiche o ai voleri della maggioranza (anzi, sono storicamente peculiari delle minoranze), la protesta di Seattle, lo abbiamo detto, ha avuto il merito di mettere sullo stesso piano diritti individuali, civili, politici e diritti collettivi, sociali e ambientali.
Anche il tempo scelto e le attivitè elettive non devono soggiacere prevalentemente ai rapporti economici, ma devono essere inseriti in un quadro di diritti, perchè il pieno sviluppo della persona venga efettivamente riconosciuto e legittimato.
Ma per farlo, dobbiamo ridefinire nelle condizioni nuove della globalizzazione, attraverso la politica ed il suo rilancio, come straordinario approdo democratico di questa era, il diritto al lavoro e il legame sociale che da questo consegue. Dobbiamo farlo invertendo una tendenza in atto: dobbiamo, cioè, definire i cambiamenti da realizzare partendo dal fine ultimo da raggiungere, non gli approdi possibili partendo dai mezzi disponibili, in un incessante compromesso che snatura gli obiettivi.

6. Lèinsieme delle osservazioni precedenti vorrebbe proporre una sintesi. La societè civile a livello internazionale prova a far sentire una sua voce nella dialettica debole aperta tra mercato e Stati, dopo la crisi degli Stati nazionali.
Eè una societè nè articolata nè organizzata in soggetti operanti su scala mondiale, con identitè e obiettivi pienamente riconosciuti.
Eppure è una voce che va oltre il rumore di fondo, che chiede trasparenza e che sceglie la democrazia ed il conflitto come terreno di riappropriazione del governo di processi determinanti per il futuro.
La questione è molto aperta: importante è non procedere con la testa rivolta alle proprie spalle e collegare questioni diverse in un unico patto sociale da definire.
Sembrerè strano, ma cèè un nesso stretto tra la pace, la soluzione del debito dei paesi poveri, i diritti del lavoro, della natura, la proprietè della vita e delle conoscenze, le responsabilitè dei consumatori, le lotte alla precarizzazione del lavoro, la difesa della dignitè della persona nelle relazioni economiche ed il diritto alla libera associazione che i referendum radicali attaccano insidiosamente.
Se questo filo si tesse adeguatamente, forse il nostro futuro non sarè passato invano dalle lotte di questi anni e dallèinsospettata deflagrazione di Seattle.