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Riconversione ecologica Arese

IDROGENO AD ARESE: PASSATO E FUTURO POSSIBILE

IDROGENO AD ARESE: PASSATO E FUTURO POSSIBILE

Mario Agostinelli ricercatore Enea

Nell’ impostare una prospettiva di riconversione e riqualificazione produttiva dell’ex Alfa Romeo di Arese, una delle aree di maggior storia industriale della Lombardia, si è fatto riferimento alla dinamica sociale e al patrimonio umano conoscitivo e professionale che hanno suggerito un destino di rilevante prospettiva e al limite della scommessa per un territorio ad altissima qualificazione.

Il progetto del Polo della Mobilità Sostenibile e delle Tecnologie Eco-compatibili di Arese –  PMS di Arese – costituisce la risposta in positivo alla crisi dell’insediamento industriale FIAT-Alfa-Romeo, così come è stata elaborata dalla Regione Lombardia di concerto con le Organizzazioni Sindacali (accordo del 27 Febbraio 2003) , con le Amministrazioni comunali competenti e le società proprietarie delle aree (Protocollo di intesa del 28 Luglio 2003, accordo di programma del 13 Aprile 2004).

Una risposta credibile ad una storia di eccellenza nel panorama del lavoro e dello sviluppo italiano del dopoguerra.

C’era un tempo in cui in fabbrica entrava il grande Eduardo De Filippo e c’era un tempo in cui il popolo operaio, con il vestito della festa, varcava insieme a tutta la famiglia la soglia del grande “capannone 6” per andare a teatro con lo sfondo delle catene di montaggio. È accaduto molti anni fa, all’inizio degli anni ‘80. Undicimila persone, tra operai e loro famigliari, accorsero in massa per assistere alla rappresentazione della “Filumena Marturano”. Alla fine dello spettacolo c’era una processione infinita sul palco, perché ognuno voleva lasciare un ricordo al grande napoletano: una parola, una fotografia, un ricamo fatto a mano.

Quasi ventimila lavoratori, nel periodo di massimo splendore, varcavano i cancelli di Arese e l’Alfa era protagonista dell’immaginario collettivo. Nello stabilimento c’era un ciclo produttivo completo: entrava il rottame grezzo e uscivano autovetture fiammanti. Il consiglio di fabbrica era composto da 400 persone e se salivi sul tetto della fabbrica potevi andare in qualsiasi reparto, senza ridiscendere mai a terra. L’operaio meridionale venuto nella grande fabbrica milanese in cerca di un nuovo futuro veniva immortalato dalla macchina da presa di Luchino Visconti in “Rocco e i suoi fratelli”. L’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili aveva, dunque, nell’eccellenza del prodotto e dei lavoratori la sua vera forza: l’auto era un bene di massa con il quale ci si identificava.

Arriva anche il tempo della gestione Fiat, simbolicamente annunciato il primo giorno con il sequestro a mensa dei mazzi di carte con cui si socializzava durante la pausa.  1600 miliardi di finanziamento pubblico per una produzione nuova, ma la crisi del gruppo torinese e il ridimensionamento delle sue produzioni conducono allo svuotamento dello stabilimento, con la dismissione di aree ancora efficienti e modernamente attrezzate. Oggi la fabbrica è stata sventrata e le catene sono state addirittura fisicamente tranciate in due notti per non permettere la ripresa della produzione con il reintegro dei cassintegrati imposti dal pretore in ottemperanza ad un accordo sindacale disatteso.

Cosa rimane o cosa potrebbe rinascere da una storia così straordinaria e così drammaticamente dissipata?

Ormai il progetto di un “Polo della Mobilità Sostenibile” ad Arese sta prendendo slancio. Proprio su iniziativa dei sindacati metalmeccanici ha preso avvio il progetto di un “polo” di attività di ricerca, servizio e industria manifatturiera orientate a fornire prodotti e servizi per un sistema di “mobilità sostenibile”.

Una svolta coraggiosa ed ancor poco conosciuta ed apprezzata, che coniuga politiche industriali, qualità della vita, occupazione, emergenza ambientale e impegno pubblico.

L’idea sottostante al progetto costituisce, per certi versi, una rovesciamento del tradizionale rapporto tra territorio e industria: non più “ciò che è buono per l’impresa deve necessariamente essere buono per il territorio”, che ne subisce tutte le esternalità scaricate, bensì “ciò che è buono per il territorio genera una domanda di prodotti e servizi che costituisce un’opportunità per l’industria”.

La decisione di cambiare prodotto, sostituendo ad una merce tradizionale un “obiettivo sociale” come la mobilità sostenibile, è nata in lunghe discussioni, innumerevoli incontri, riunioni dei consigli di fabbrica, assemblee e votazioni. E’ interessante come da una vicenda concretissima, scandita da scioperi, lotte, trattative, ma che ha saputo riscoprire il valore sociale del lavoro e compiere una maturazione culturale complessa per superare una dimensione prevalentemente difensiva, si sia configurata una risposta industriale credibile, che costituisce ambiziosamente un tentativo di corposo insediamento manifatturiero non tradizionale Un investimento così innovativo dal punto di vista energetico e ambientale da proporsi come non dissipativo, pur occupandosi di produzione di massa e di mercato. Ad Arese si dovrebbe fare ricerca, progettare, ingegnerizzare e commercializzare un prodotto socialmente desiderabile, che si definisce “mobilità sostenibile”, proponendo soluzioni alla crisi ambientale del territorio lombardo, riqualificando il sistema industriale in settori di avanguardia, riposizionando l’impegno della ricerca avanzata nel settore decisivo del trasporto, oggi esposto alla crisi del settore auto nazionale e, infine, inserendo il nostro paese nel piano strategico UE, incentrato sull’impiego delle fonti rinnovabili e dell’idrogeno come vettore energetico del futuro.

Interessante è il ruolo che la ricerca pubblica verrebbe ad assumere. ENEA ha ricevuto dalla Regione Lombardia l’incarico di definire il quadro concettuale di riferimento per lo sviluppo del “polo” e di proporre l’insediamento di progetti di punta sostenuti dal Politecnico, dal JRC di Ispra, dall’ARPA, dal CNR, credibilmente suscettibili di incentivare attività manifatturiere a basso impatto ambientale.

L’”economia dell’idrogeno” e la “sostenibilità ambientale” delle produzioni e dei servizi sembrano indicare un percorso fecondo che incrocia attenzione sociale e solidità  economica e predispone all’eccellenza dei processi e alla  qualità ecologica delle soluzioni.

Così, nella prospettiva di un ridisegno sistemico del trasporto di persone e di merci, l’area di Arese diventerebbe l’epicentro di un progetto che si propone la costituzione di un distretto innovativo per il settore automotive e il re-insediamento di attività manifatturiere, collegate alla possibilità di riduzione dei volumi di traffico, alla riorganizzazione della logistica delle merci, alla produzione di veicoli a basso impatto ambientale, inizialmente favoriti nella loro diffusione da una politica pubblica delle amministrazioni in stretto rapporto con il loro cittadini e, infine, sostenuta dalla diffusione delle strutture adeguate al loro successo. Si tratterebbe cioè di veicoli di nuova concezione, alimentati con combustibili alternativi, incentivati da politiche appropriate per preparare nella transizione le infrastrutture per un trasporto progressivamente sempre più alimentato da idrogeno ed elettricità ottenuti da fonti rinnovabili.

Proprio in funzione di una accelerazione della transizione, l’idea chiave per superare l’insostenibilità del sistema di trasporto attuale, assieme allo sviluppo del trasporto pubblico, riguarda la costituzione di nicchie di mercato per la diffusione dei nuovi prodotti. Prendiamo il caso dei veicoli alimentati a idrogeno. Tutte le maggiori case automobilistiche hanno realizzato prototipi funzionanti, ma la mancanza di una rete di rifornimento costituisce uno dei maggiori ostacoli allo loro diffusione sul mercato. Con iniziative promosse dalle amministrazioni pubbliche in aree territoriali circoscritte, come quella metropolitana milanese, si comincerebbe con “forzare la domanda” inducendo i gestori di flotte di mezzi dedicati (taxi, car sharing, consegna merci) a circolare in corsie ed orari preferenziali solo adottando i veicoli di nuova concezione e promuovendo la realizzazione di reti “distrettuali” di stazioni di rifornimento.

Nel frattempo ad Arese  si verrebbe a creare anche una rete di centri di ricerca di base ed applicata per tecnologie software e hardware di governo e riduzione del traffico.

Le infrastrutture in progettazione dovrebbero anche favorire e accelerare l’insediamento  progressivo di operatori di medie dimensioni nel campo della trasformazione di veicoli pesanti a metano e a gas liquido, la diffusione di biocombustibili, la produzione e la commercializzazione di celle a combustibile alimentate ad idrogeno sia per uso mobile che stazionario.

Il processo di insediamento delle attività innovative del PMS verrebbe guidato e favorito dalla presenza di un centro di ricerca a cui si affiancherebbero servizi di eccellenza come un centro per l’omologazione dei veicoli innovativi, una pista prove efficiente, un osservatorio sulla mobilità, laboratori e sale prove collegati alla filiera dell’idrogeno e allo sviluppo di nuovi materiali.

Ovviamente si tratta di un processo da attuare con continue verifiche e riallineamenti.

A nostro avviso, comunque, il cambio radicale del sistema dei trasporti, ormai vicino al collasso nelle aree più sviluppate e praticamente impossibile ad essere riprodotto nelle zone in sviluppo, costituisce una delle sfide più impegnative del secolo appena avviato. Perciò la riorganizzazione della mobilità, il superamento dei carburanti fossili e il miglioramento dell’efficienza energetica potrebbero trovare nel sistema [idrogeno da fonti rinnovabili-celle a combustibile-motore elettrico] un contributo ed una soluzione promettente.

Georgescu Roegen ha avuto il merito straordinario di richiamare gli economisti con considerazioni allarmate ma convincenti sull’accelerazione dei consumi connaturata al sistema capitalistico, all’ineluttabilità dell’esaurimento delle risorse energetiche e naturali e all’insostenibilità di gran parte delle produzioni industriali, rifacendosi al concetto potentissimo e rigorosissimo di entropia. L’automobile come protesi del corpo umano – ahimè di ogni singolo corpo! – che realizza a costi elevatissimi il sogno di trasportare o trasportarsi, è oggi l’esempio più eclatante di irrazionalità fornita dal disordine e dallo spreco creati con l’occupazione di tutti gli spazi fisici, ambientali, mentali della nostra vita. Per di più, il sistema produttivo che garantisce la diffusione ed il funzionamento dell’autoveicolo, comprendente anche il combustibile, le tecnologie di vendita e assistenza, le reti viarie, ha subito un tale irrigidimento, da rendere difficili, condizionanti e perfino rischiosi  (ad esempio sul piano della difesa dell’occupazione e della competizione di mercato) l’innovazione ed il passaggio a modelli di mobilità alternativi, anche se essi sono ritenuti sempre più urgenti e necessari.

L’automobile resta il crocevia di una serie di filiere produttive che sono le maggiori consumatrici di risorse naturali e le maggiori produttrici di residui inquinanti: la filiera del ferro e dell’acciaio, quella del petrolio, che alimenta a sua volta le filiere delle materie plastiche, della gomma sintetica, dei carburanti e dei lubrificanti e dei bitumi, che, insieme alle filiere dell’estrazione di inerti da cava e del cemento, alimentano a loro volta l’industria dei grandi e piccoli lavori stradali: cioè la maggior parte del settore delle costruzioni.

Ma la distruttività del sistema dell’automobile non si manifesta solo in occasione del suo utilizzo “normale”. I costi del sistema carburante-veicolo-infrastrutture vanno artificialmente tenuti, nonostante l’impiego di materie prime pregiate e di combustibili fossili di prossimo esaurimento, costantemente bassi per essere compatibili con il mantenimento e la continua espansione di un mercato di massa.

Per tutte queste ragioni, cominciare ad affrontare dal punto di vista politico sociale economico industriale la riprogettazione del sistema di mobilità ha un significato straordinario e rappresenta la presa d’atto lungimirante di una crisi epocale, che tocca una dimensione essenziale dell’esistenza moderna. Ovvio quindi che il progetto di superamento anche semplicemente di una produzione tradizionale in crisi, come si sta proponendo nel caso dell’Alfa di Arese, tocca corde molto sensibili e comporta l’avvio di processi così complessi da rendere precario e insufficiente anche un primo successo.

Infatti i mutamenti dovuti all’incompatibilità ambientale, sociale e spaziale del sistema dell’auto individuale, che ha retto a livello globale la più straordinaria espansione materiale per oltre un secolo, potrebbero condurre sia ad un lungimirante  ripensamento del rapporto tra merce, servizio, ambiente, natura, come produrre una tale resistenza negli interessi economici e politici dominanti da trascinare in improvvide alleanze nuclei forti del mondo del lavoro, mentre ci si precipita verso una crisi ambientale e sociale acutissima. In mezzo a questi scenari si può muovere un processo confuso di rimando delle decisioni, provocando crisi occupazionali sempre più intense e alimentando frustrazione e atteggiamenti sempre più rancorosi in quelle fasce della popolazione costrette ad abbandonare l’auto senza trovare in soluzioni alternative la salvaguardia di quella fondamentale componente della cittadinanza che è il diritto alla mobilità.

Perciò va sottoposta ad interesse generale la vicenda di Arese, ove si cerca di promuovere per tempo la riconversione dell’industria automobilistica verso strumenti di mobilità più economici e compatibili, il passaggio delll’industria delle infrastrutture verso attività di recupero e di salvaguardia del territorio, il superamento della dipendenza dalle  fonti fossili per un sistema dei trasporti che rivela oggi la massima lontananza dai concetti di risparmio e rinnovabilità che dovrebbero ridefinire gli scenari energetici futuri.