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La Lombardia motore di una nuova sinistra

La Lombardia motore di una nuova sinistra

Mario Agostinelli

La crisi della Lombardia non riguarda solo le sue prospettive economiche, il suo declino industriale, l’emarginazione dei processi nazionali e internazionali dei suoi gruppi dirigenti.

C’è una crisi della società a cui il modello Formigoni fornisce occasioni continue di povertà, disuguaglianza, perdita di diritti, carenza di progettualità politica, frammentazione,

Proprio qui, in Lombardia, si sta formando una coscienza politica con forti radici territoriali, che reagisce al leghismo e al formigonismo più volte blanditi anche nel centrosinistra, con una analisi delle domande sociali e con una ricostruzione della solidarietà che rimettono in circolo lotte e movimenti con una politicità diretta e una forte pressione sulle istituzioni.

Non c’è territorio o provincia dove non siano riconoscibili richieste di cambiamento, così definite da costituire proposte alternative ben oltre alle sole contestazioni. Uno sguardo al futuro, non solo il riconoscimento in una identità e in una memoria passata, pure sempre da valorizzare. Parlo delle lotte del lavoro, dove, come nel caso dell’Alfa o della Donora, si prospettano nuovi prodotti socialmente e ambientalmente più desiderabili; delle lotte contro le privatizzazioni, come a Cremona, a Bergamo e a Milano per l’acqua, dove nasce l’obiettivo dei beni comuni; delle rivendicazioni per la casa; della difesa del diritto alla salute nelle ASL trasformate in gestori di ospedali-azienda i cui direttori ricevono le pagelle dalla Giunta secondo il parametro del risparmio  finanziario anziché del benessere dei cittadini; delle diffusissime battaglie per la difesa dell’ambiente dalle cementificazioni delle grandi opere, come per la Bre-Be-Mi, la paullese, l’area Fiera o Garibaldi; delle rivendicazioni di risanamento attorno alle centrali elettriche e di blocco del carico ambientale costituito da nuove centrali, come nel caso di Ostiglia, Mantova, Offlaga e Lodi.

Alla base di aggregazioni territoriali su temi circoscritti, c’è la coscienza di partecipare ad un disegno complessivo di trasformazione a cui i movimenti, da Porto Alegre, Genova, Firenze, hanno fornito una cornice ed una elaborazione nuova.

Si tratta della confluenza contro il liberismo di tutte le esperienze frammentate di sfruttamento, spreco, perdita di senso sociale.

Il fatto nuovo è il passaggio dall’esperienza e dalla partecipazione alla lotta ad una domanda politica di democrazia e cambiamento radicale.

L’intera esperienza di Unaltralombardia, che, anche dopo la vicenda delle elezioni regionali dello scorso anno, continua a radicarsi nei territori lombardi e a costituire elemento di rinnovamento e di allargamento dei confini del PRC e di tutta la sinistra, è fondata sul rapporto fra lotte e organizzazione dell’associazionismo e la rappresentanza diretta e delegata di quelle esperienze nelle istituzioni.

Credo che quello che stiamo sperimentando in concreto sia un modello nuovo di grande interesse, non isolato, molto coerente con la riflessione che Rifondazione ha lanciato con la costituzione della sezione italiana della Sinistra Europea.

In fondo, i risultati elettorali in Lombardia non testimoniano solo la tenuta del partito e delle nostre liste, ma segnalano anche la conquista di nuovi soggetti politici e sociali da parte del PRC. Soggetti che si confrontano con le velocissime e impreviste trasformazioni del nostro tempo e che vengono intercettati solo se si riplasmano le forme organizzative della politica e se si adeguano l’analisi socio economica, i programmi, l’altezza e gli strumenti del conflitto. Ci riferiamo ad uno sforzo da rendere produttivo in una realtà come quella lombarda che è egemonizzata da un liberismo meno sfacciato di quello berlusconiano, ma non meno insidioso nel suo trasferimento al privato delle prerogative e dei diritti sanciti dalla Costituzione.

E’ quanto cerca di fare anche il Gruppo del PRC in Regione, in presa diretta –per quanto può- con i territori e i temi popolari del conflitto che in essi si sviluppa. In definitiva, a mio parere, non esiste tanto “una qestione del Nord” quanto un necessario collegamento soprattutto “nei Nord” tra una società viva e una politica ancora da essa troppo distante e separata.