REPOSITORY

Decrescita e sviluppo

PRODUZIONE E CONSUMO A MINOR ENTROPIA

PRODUZIONE E CONSUMO A MINOR ENTROPIA

Mario Agostinelli

1. La massimazione dello spreco

Nei cicli di produzione e consumo globalizzati viene alla luce un segnale di crisi irreversibile che richiederebbe per essere affrontato un sussulto di partecipazione e controllo democratico, senza una sua rimozione ad opera delle tecnocrazie e della cultura dilagante e autoritaria del sistema d’impresa, che non si dà cura dello spreco  sistematico di risorse sociali e naturali. Si tratta della crisi del concetto quantitativo di “massimizzazione” che ha dominato l’economia classica ed il processo di industrializzazione basato sui combustibili fossili fino alla sua estremizzazione liberista, confermata quando i conflitti con l’ambiente e con la società ne esigevano invece il superamento. Massimizzazione sia dei fattori produttivi attraverso la competizione e la concorrenza, sia della quantità di beni di consumo sulla base del principio di non sazietà, quasi che capitale lavoro e natura non fossero parte di un processo temporalmente non illimitato, storicamente e socialmente determinato e non rispondente a modelli matematici che non tengono certo conto della specificità della biosfera e dei valori della persona.

Una astrazione irresponsabile ispirata al profitto ha dettato le sue regole mistificando gli obbiettivi imposti e contrabbandandoli per interesse comune nel progresso  dell’umanità. Raramente si è assistito come ai nostri giorni ad una abdicazione tanto profonda della politica rispetto all’economia e mai quanto oggi sono state impiegate energie intellettuali e materiali ( si pensi all’impiego della scienza, alle spese militari, alle privatizzazioni dei beni comuni, alle risorse profuse nel settore dell’informazione ) per ancorare una classe e una parte minoritaria del mondo a privilegi comunque non duraturi e ad un modello di produzione e consumo senza prospettiva unitaria e possibilità di estensione nel tempo.

La drammaticità della rotta assunta da questo modello di sviluppo è sotto gli occhi di tutti e comincia a toccare nel profondo l’immaginario collettivo ed a produrre reazioni di massa che incidono sui comportamenti sociali. E’ qui che la questione della democrazia e della partecipazione riprende un ruolo cruciale in uno scontro che riguarda il futuro della civiltà e la sopravvivenza del pianeta. Lo si è visto nel caso della pace e dei diritti sociali e lo si sta osservando ora per i mutamenti climatici, con l’emergere di soggetti sociali che riprendono per intera la loro autonomia rispetto ai processi decisionali da cui sono stati esclusi.

Mi riferisco qui a quei soggetti atomizzati dal modo di produzione e di consumo imposti dall’economia neoliberista, che stanno ricostruendo una loro identità collettiva e che possono nel medio tempo contribuire a costituire la base politica per una alternativa: lavoratori e consumatori che, ogni qual volta  abbiano individuato tra loro visioni convergenti, hanno saputo far avanzare elementi di solidarietà e di giustizia sociale.

2. Convergenze, separazioni, ricomposizioni

In effetti il “circolo virtuoso” del fordismo consisteva nella capacità dei lavoratori organizzati di contrattare salari e stato sociale per un livello di soddisfazione dei loro bisogni primari così da assicurare al consumo individuale residuo ed al risparmio una funzione  anche socialmente condivisibile. Si pensi negli anni ‘60 e ‘70 alle politiche per la casa e per le attività ricreative, alle cooperative di consumo, alla diffusione in tutte le dimore dell’accesso all’elettricità, alle politiche tariffarie per i trasporti collettivi. A quel tempo erano i lavoratori organizzati nei loro sindacati a difendere un modello di consumo non orientato solo dal mercato e a riunificare le lotte salariali con quelle di difesa del potere di acquisto. Anche quando, successivamente, l’individualizzazione dei consumi si fece più spinta, l’acquisto e la diffusione dei beni mantenne un suo legame territoriale con il lavoro: i prodotti del lavoro salariato venivano fruiti, anche da un punto di vista geografico, negli stessi luoghi su cui si ammodernavano le fabbriche, aumentavano i profitti, si espandeva l’innovazione, ma cresceva anche il tenore di vita. Insomma, tra lavoro e consumo correva un filo sottile che faceva da base progettuale per un rapporto da stringere tra riduzione del tempo di lavoro ed autonoma riappropriazione del tempo di vita.

Purtroppo il movimento sindacale europeo ha complessivamente ceduto negli anni ’90 sulla questione della riduzione dell’orario di lavoro e di un proprio progetto sul tempo di vita, esponendosi con scarse difese ad un formidabile attacco di saturazione delle prestazioni e di sottrazione del loro controllo e, contemporaneamente, di vera e propria “taylorizzazione” del tempo di vita, programmato a livello politico-economico come scansione incessante di consumi individuali indotti ( basti pensare ai fast food come costrizione dell’alimentazione, alla funzione dei supermercati come luoghi di intrattenimento e di omologazione, all’enorme espansione dell’industria del tempo libero).

Ci siamo così trovati di fronte ad una progressiva scissione tra lavoro e consumo, ad una schizofrenia di comportamenti, ad una indipendenza, se non una mancanza di comunicazione, tra i sistemi di valore delle rappresentanze sociali dei lavoratori e dei consumatori.

Ma alla fine degli anni ’90 l’accelerazione della globalizzazione della produzione e la concentrazione del consumo nei paesi ricchi ha fatto ancora di più, creando una polarizzazione ed una separazione geografica tra consumatori atomizzati dei paesi ricchi del Nord e lavoratori-produttori dei paesi poveri del Sud costretti allo sfruttamento nell’indifferenza almeno iniziale dei destinatari dei loro prodotti a buon mercato.

Fortunatamente si è contemporaneamente e quasi inconsapevolmente innescato anche un processo opposto di riunificazione e di convergenza dei due mondi e la realtà materiale ha contraddetto le intenzioni. Infatti, nel nuovo modello di produzione globale, dove le differenze spaziali e temporali sono state annullate e la medesima catena produttiva attraversa differenti paesi, sono state messe al lavoro contemporaneamente “persone”, in gran parte nel Sud ed Est del mondo, che percepiscono diversi salari, ma che tuttavia comunicano tra di loro direttamente, in quanto fanno parte di un medesimo ed unico processo produttivo. Mentre le imprese si occupano dei differenziali del costo del lavoro, queste persone si chiedono perché mai non debbano avvalersi di diritti comuni più avanzati, come d’altra parte negli anni ’60 pretendevano con successo, nonostante la loro provenienza da esperienze lavorative di puro sfruttamento nelle campagne o di sconfortante disoccupazione al Sud, i dipendenti  che venivano assunti nei grandi reparti delle fabbriche del “Triangolo industriale”.

Nella produzione globalizzata, oltre che alla convenienza delle multinazionali, viene data una occasione irripetibile all’affermazione di diritti universali dei lavoratori. Un “effetto collaterale” una volta tanto benefico!

Ora succede che gli stessi consumatori dei paesi ricchi, se sono a loro volta lavoratori impegnati a difendere il potere di acquisto dei loro salari, non possono più separare la propria prospettiva dal destino dei lavoratori-produttori dei paesi poveri, dato che verrebbero coinvolti dalla politica delle imprese globali nell’unico possibile livellamento al ribasso che riguarda l’intero mondo del lavoro: la riduzione dei diritti. Un consumatore di un paese ricco, in quanto lavoratore, ha quindi tutto l’interesse perché una “etichetta sociale” caratterizzi i prodotti importati affidando al suo acquisto il  “potere contrattuale” di certificazione dei risultati di una lotta comune.

Finalmente, consumo consapevole, valorizzazione della natura, tutela dell’ambiente, diritto al lavoro e diritti del lavoro cominciano a ricomporsi e ad apparire un tutt’uno da riconquistare.

3. Biosfera e bioeconomia

Tuttavia la ragione forse più stringente per cercare ulteriori convergenze tra produzione e consumo nella direzione di un cambiamento radicale, sta nel rinnovato slancio con cui la società civile, a fronte dell’insostenibilità sociale e ambientale di questo sviluppo, cerca risposte coerenti e rigorose per fondare una economia giusta e compatibile con le leggi fondamentali della natura.

L’aumento della produttività del lavoro a scapito della produttività della natura è un tipico conflitto generale, modernissimo, che non riguarda un certo luogo di lavoro o una certa economia, ma il modo di produzione connaturato all’impresa capitalistica. Ad essa infatti viene demandato il compito di produrre beni e ricchezze secondo parametri propri (il profitto), mentre al mercato ed ai suoi meccanismi (la concorrenza) viene a sua volta affidato il compito di selezionare le risposte più valide secondo un punto di vista economico (l’accumulazione), sottovalutando sia le esigenze di natura sociale che le limitazioni della natura ed instaurando un meccanismo la cui velocità e sproporzione di carico termodinamico si riflette in un aumento abnorme dell’entropia, del disordine.

Occorre convincersi che la produzione di qualsiasi bene o servizio, in termini di consumo di materia e di degrado dell’energia, comporta un’opportunità in meno per gli esseri viventi che verranno dopo di noi. Si tratta di un’estensione intergenerazionale del concetto di solidarietà a cui la politica che conosciamo non ci ha affatto abituato e che obbliga ad uno spostamento del nostro orizzonte temporale. In definitiva, ogni nostro comportamento è responsabile del tempo vitale che rimane a disposizione di una biosfera composta di sistemi che cooperano e competono, hanno pluralità di fini e non tendono alla massimizzazione di alcuno di essi, ma abilitano una continua retroazione rispetto all’ambiente e considerano gli effetti prodotti dal loro comportamento non sotto il profilo del dominio, quanto del benessere, della sopravvivenza, della soddisfazione, dell’ampliamento delle capacità  relazionali. Molto di più della razionalità economica capitalista che si scontra con l’impossibilità che l’ambiente sociale e naturale assorbano il potenziale di manipolazione scaricato su di essi dalla attività produttiva e metabolizzino gli scarti e gli sprechi indotti dal consumo.

Siamo oggi costretti a rivedere la concezione newtoniana dello sviluppo, a sentirci parte di un destino comune con quelle risorse e quell’energia che sono in grado di ordinare il mondo vivente, ma solo a costi sopportabili, limitandone il degrado e consentendone la ricostruzione della base rinnovabile.

In questo contesto così nuovo, ma così stringente, consumo e produzione vanno sottoposti ad una critica radicale. Come afferma Georgescu-Roegen si deve escludere la sostituibilità fra risorse naturali e capitale. Si è potuto perfino sostituire – a costi sociali enormi – capitale a lavoro, ma il “mantenimento” della risorsa umana e della natura richiede scelte che si collocano solo nell’ambito della politica e della responsabilità, cioè della democrazia. Essendo inevitabile in termini fisici la decrescita della produzione al passare del tempo, occorre orientarsi a produrre valore con meno materia, con meno energia, con maggiore lentezza, aumentando l’efficienza assai più che la produttività dei processi.

Per quanto riguarda poi il sistema di consumo, occorre uscire dal criterio per cui sia l’utilità ad ordinare le varie alternative e che, specularmente alla pretesa di una crescita illimitata della produzione, si debba considerare il consumatore come un individuo mai sazio. Ci sono invece beni durevoli di cui dispone il consumatore e che dipendono da dimensioni biofisiche, familiari, relazionali, collettive che possono essere alimentati con risorse assai ridotte, essere tramandati, modulati nel tempo. In fondo, il godimento del tempo a propria disposizione è assai più funzione della ricchezza intrinseca della persona e delle sue relazioni che del flusso di reddito e di beni. Sia la cultura, che la memoria, che la ricchezza sociale, con le organizzazioni che le alimentano e le infrastrutture che le rendono possibili, costituiscono il nocciolo di quella economia solidale che acquista sempre più peso nell’organizzazione qualitativa della vita e che possiede le migliori caratteristiche dal punto di vista bioeconomico, con un consumo molto ridotto di materia e di energia.

4. Le implicazioni….

Molte sarebbero le implicazioni di queste brevi considerazioni, ma non è questo il luogo per trattarle per esteso. Mi preme solo aggiungere che la crisi del concetto quantitativo di massimizzazione  a cui si è accennato all’inizio, richiede di riprendere e rielaborare concetti e proposte che già sono state alla ribalta del mondo del lavoro e del consumo “consapevole”. Mi riferisco alle questioni del tempo, dei beni pubblici come l’acqua o l’energia, della qualità dello sviluppo territoriale, della critica alla competitività, della connessione tra dono, produzione più lenta e consumo meno individuale…

Oggi siamo nelle condizioni di ridare a queste concetti uno straordinario valore evocativo e di organizzare attorno ad essi iniziative che mettano in sintonia lavoratori e consumatori. In fondo non è proprio vero che i diritti nel mondo del lavoro e nel mondo del consumo provengano dal mercato,come vorrebbe far credere perfino la bozza di “costituzione” europea in gestazione. I diritti provengono da idee, critiche, lotte e partecipazione, il sale della convivenza civile.

1 Commento

  1. ci� che ho letto in questo post rappresenta la mia soluzione come individuo al decadimento del sistema economico ed ambientale del pianeta.
    Ho ritrovato le mie stesse parole espresse ieri con un’amicaa, intorno a questo argomento a alla perplessit� di una presenza molto ban occultata di iniziative destabilizzanti le possibili iniziative che vengono suggerite nel proporre una soluzione soddisfaciente ed attuabile , potenzialmente, in tempi brevissimi..
    Evidentemente coloro che si devono difendere dal buon senso umano hanno gi� escogitato delle mosse di rivalsa per comprometterne sia le iniziative che la massima efficienza dei risultati ottenibili..e nella qualit� e nella estensione nella popolazione a pi� livelli di cultura e di azione..
    Dire che mi rammarico di questo delinquenziale atteggiamento non trasmette quanta preoccupazione e seria necessit� a testimoniare questi accaduti sia in me presente..
    Per� c’� e con il mio blog cerco di mantenere attiva un minimo di consapevolezza unn po’ pi� vicina agli interessi della sopravvivenza della ricchezza interiore pi� che di quella materialistica che, invece ci sta affossando
    e non sono l’unica..