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Generale

DOPO COPENHAGEN

Mario Agostinelli

PREMESSA

Strano Paese l’Italia. Nelle due settimane del vertice di Copenhagen la stampa e le televisioni ci hanno ammonito del fatto che il cambiamento climatico fosse il problema da affrontare con più urgenza: ma, a distanza di un mese, chi ne parla più?

D’altra parte, se la figura più mediaticamente esposta, il Presidente del Consiglio, sceglie un suo supermercato – il Gigante nel cuore della Brianza, autentico stereotipo per un lancio elettorale – per riapparire con il viso integro dopo l’incidente di Milano ed è disposto a sacrificare la trovata del “partito dell’amore” sull’altare delle leggi ad personam, si capisce che i messaggi con cui consapevolmente impone l’agenda di governo vanno da tutt’altra parte.

Proprio per sfondare il muro di inadeguatezza che da noi delimita il dibattito politico-sociale, vorrei a un mese di distanza riflettere su quel che è successo in Danimarca, nell’appuntamento intergovernativo mondiale più atteso e seguito dell’intera storia umana.

“E’ stato un fallimento” – Questo il commento quasi unanime che ha frettolosamente messo una pietra sopra l’evento.

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