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Generale

Energia liberalizzata e… improvvisata

Viva Monti…ovvero…il piano energetico che non c’è
L’Europa si è data degli obiettivi energetici e climatici molto ambiziosi al 2020 e ancor più ambiziosi al 2050, che sono in corso di approvazione in questo momento. Provvedimenti che servono a disegnare uno scenario virtualmente “post carbon” al 2050 (meno 95% di emissioni rispetto ai livelli del 1990) e investimenti infrastrutturali nella green economy per una media di 270 miliardi di euro annui (l’1,5 % del Pil europeo).
Se in Europa si progetta una Roadmap per il 2050, in Italia si modificano le regole sulle fonti rinnovabili ogni sei mesi, ci si lamenta ogni giorno dei costi delle bollette attribuiti al fotovoltaico (!), del mancato sviluppo del nucleare (!), dei costi dei carburanti. E questo senza preoccuparsi affatto dell’incapacità della nostra industria di produrre pannelli e aerogeneratori e di predisporre reti opportunamente programmate per il sistema del futuro.

Un brontolio surreale, che il “governo dei tecnici” metabolizza nel modo peggiore, procedendo per decreti in cui infila di straforo provvedimenti spot per l’energia in mezzo a protocolli per farmacisti, notai, benzinai, taxisti e panettieri. Viene così irresponsabilmente rimossa l’esigenza di una cornice di regole, un piano energetico, sostituito invece dalle pressioni delle lobby che vanno a nozze con la preclusione al dibattito pubblico che Monti schiva volentieri con la scusa dell’emergenza. Eppure, la parola magica dovrebbe essere crescita, ma chi la scorge nel “mille proroghe” o tra le “liberalizzazioni” che, con il ricorso alla fiducia hanno fatto scivolare tra le pieghe una serie di decisioni spot per l’energia sconosciute al grande pubblico (ad esempio l’art. 65 andrebbe stralciato e ridiscusso in ben altro contesto!)? Provo ad andare per ordine, considerando prima le novità per le fonti fossili e rimandando in fondo l’analisi delle “furbate” improvvisate per il nucleare e le rinnovabili.

1) Crisi, gas, olio combustibile, rigassificatori
Il repentino cambiamento meteo ha fatto schizzare il 7 febbraio a 456 milioni di metri cubi, il consumo di gas. Unanime il coro: servono, oltre ai due in funzione, nuovi rigassificatori che ricevano il gas in forma liquefatta via nave. Le scorte hanno però sopperito e l’Enel è stata autorizzata a riaccendere le vecchie centrali a olio combustibile in modo da far funzionare meno quelle a gas. In totale oggi abbiamo 2.000 MW di olio combustibile in funzione. Un buon affare per Enel che rallenta i turbogas e tiene ferma perfino Brindisi Sud, la nostra più grande centrale a carbone. Niente programmazione e tutto mercato, come ci indica l’ideologia delle salvifiche liberalizzazioni? Prendetevi allora un ambiente più malsano e una totale dipendenza dalla borsa elettrica, mentre scordatevi che a gennaio (inverno!) il vituperato fotovoltaico ha prodotto 805 GWh (milioni di kWh) e l’osteggiato eolico 1.252 GWh, senza metanodotti e rigassificatori alle spalle.

2) La separazione Eni- Snam
È certamente la decisione potenzialmente con maggiori conseguenze sulle bollette degli italiani. Ma non avrà effetti immediati. Va spiegato che oggi chi importa gas (Eni) e chi possiede i tubi per farlo arrivare in Italia (Snam) sono la stessa cosa, nel senso che Eni è proprietaria di Snam. Con la rivoluzione annunciata non sarà più così: questo cosa comporterà? In teoria, significherà concorrenza fra Eni e altre società per importare il gas e maggior concorrenza dovrebbe in teoria comportare prezzi più bassi. Oggi il gas che in Austria arriva al confine italiano di Tarvisio, non appena lo passa aumenta di circa 8 euro al MWh, perché questo sarebbe il costo che serve a Snam per trasportarlo in Italia.
Eni acquista all’estero con contratti di lungo termine “take or pay”, cioè quantità che paga anche se non dovesse ritirare. È ovvio, quindi, che prenoti il massimo della capacità di trasporto ed essendo Snam di sua proprietà non ha problemi a farlo “pagando” il prezzo di ritiro. Allora, se ci fossero metanodotti concorrenti – cosa assai difficile con un monopolista affermato – si potrebbero spuntare sovrapprezzi inferiori; oppure – cosa più praticabile – si dovrebbe comprare gas sulla piazza europea a prezzi meno prevedibili.
In sintesi, separare Snam da Eni dovrebbe forzare quest’ultima ad abbandonare i contratti di lungo termine e garantire un uso più efficiente dei “tubi” che portano gas in Italia. Con però più insicurezza sulle forniture, incentivazione ai rigassificatori, ricadute imprevedibili sulle municipalizzate. A meno che… Eni continui a far fede sulle bollette di tutti noi!

3) Quinto conto energia in arrivo?

Nel post precedente ho preso in considerazione le improvvisazioni del governo in materia di energie fossili. Ma, a parte un pericoloso sussulto sul nucleare, che riprenderò in coda, la preoccupazione provocata dal trattamento superficiale delle rinnovabili e dalla sottovalutazione della funzione strategica che dovrebbero assumere, rende ancora più allarmato il giudizio. A sentire le dichiarazioni del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, gli incentivi alle rinnovabili resteranno, ma saranno rivisti al ribasso, almeno fino alla grid parity.  Eppure, a parità di potenza installata il quarto Conto Energia costa agli italiani già il 25% in meno del terzo, mentre è bene ricordare che nel 2011 la componente energia della bolletta per le utenze residenziali è aumentata dell’8,3% nelle fasce sera, notte e finesettimana, mentre nella giornata feriale, dalle 8 alle 19, è addirittura scesa del 3,3%, grazie al sole che con una potenza installata ormai di 13 MW sostituisce una quota di gas nel fornire elettricità.

Dal 2010 ad oggi, gli incentivi alle rinnovabili sono cambiati in continuazione, con interpretazioni del GSE che hanno ulteriormente complicato i riferimenti per gli operatori. Se si pensa poi che il 2012 si è aperto con uno stop retroattivo agli incentivi al fotovoltaico agricolo, si può affermare che, qualunque sia il reale rendimento di un impianto fotovoltaico incentivato oggi, l’unica cosa certa è l’impossibilità di calcolarne il ritorno.

Il guaio è che l’articolo 65 sul fotovoltaico, nel decreto liberalizzazioni, non è stato discusso preventivamente e sembrerebbe frutto di una strategia ammazza-rinnovabili, che blocca scelte di politica industriale atte a riportare la filiera fotovoltaica in Italia.  Una fase di consultazione avrebbe consentito un contradditorio effettivo e la produzione di ulteriori contributi per prendere le decisioni in modo fondato e trasparente. Non si può dimenticare che l’Europa ha creato un club virtuoso di Sindaci per la sostenibilità (il “Covenant of Mayors”) per coinvolgere i cittadini nel nuovo modello energetico distribuito e solare. Invece, si calano decisioni disorganiche ma vincolanti, mentre è completamente assente un piano di lungo periodo e non sono definiti  obiettivi certi all’interno di un piano energetico nazionale finalizzato alla conversione energetica. In più, non c’è traccia di integrazione tra le varie fonti. Nel dettaglio, rimango ancora esterrefatto sull’equiparazione tra pannelli fotovoltaici sulle serre e pannelli sugli edifici, con la possibilità che l’agricoltura sia sempre più inserita all’interno dei circuiti globali dell’agribusiness.

Questi interventi “urgenti” (?!) saltano a piè pari l’accesso al credito, autentico problema per chi decide di realizzare un impianto rinnovabile. E poi non si fa cenno all’introduzione di tecnologie atte a fare massa critica sulle rinnovabili, (come le tecnologie di accumulo, idrogeno, batterie ad alta efficienza, smart grids, reti di distributori e ricarica per la mobilità sostenibile) a cui dovrebbero progressivamente essere trasferiti gli incentivi.

 

4) e il nucleare?

Infine, per i rifiuti nucleari, l’articolo 24 del decreto del Governo Monti prevede una normativa inaccettabile, anche alla luce dei risultati referendari. Non a caso si titola: accelerazione delle attivita’ di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari.

Anzitutto, prevede che la Sogin, con la sola approvazione del Ministero, si occupi dello smantellamento degli impianti dismessi e della soluzione della custodia delle scorie, saltando verifiche e controlli, sopra la testa delle popolazioni interessate, dei Comuni e delle Regioni, e con deroghe sulle normative ambientali e urbanistiche. Inoltre, i depositi provvisori di rifiuti radioattivi si trasformano in stabili, mentre si contempla la nascita di nuovi siti di “stoccaggio” che possono essere autorizzati senza il consenso delle amministrazioni locali.

Che altro si può argomentare perché gli articoli 24 e 65 del decreto vengano cancellati dal Parlamento, per farla finita con l’improvvisazione e aprire una discussione benefica per un progetto di superamento della crisi che prenda in considerazione la transizione energetica?