REPOSITORY

Forum Sociale Mondiale

Nel forum di Nairobi irrompono gli slums

Mario Agostinelli

Da sempre i Forum Sociali, convocati ad inizio anno in corrispondenza al Forum dei potenti a Davos, chiamano delegazioni da tutto il mondo a dibattere in un luogo ben delimitato, strutturato con i caratteri dell’architettura locale e identificabile « geograficamente » attraverso l’impiego dei materiali piu’ diffusi e tipici del territorio e della regione. Un luogo organizzato e messo a disposizione dal lavoro di centinaia di volontari militanti di movimento, quasi sempre predisposto nel centro della citta’ ospitante, sede di scambio di esperienze e di discussioni autoorganizzate. Un luogo permeabile alle delegazioni e alle rappresentanze delle associazioni sociali di tutte le regioni del pianeta, ma, alla fine, poco o comunque insufficientemente attraversato dalle dinamiche che riguardano le popolazioni locali e le loro sofferenze.

Ad esempio, Porto Alegre e’ sempre stato il luogo di accoglienza e di sintesi delle istanze del movimento dei movimenti. Mumbay era stato il luogo dove i senza diritti indiani (i « dalit » fuori casta) prendevano finalmente la parola attraverso i loro leader. Bamako aveva dato visibilita’ alle organizzazioni africane e alle sorprendenti reti delle donne di un continente in pieno risveglio.

Solo il Forum Panamazonico di Belem aveva cominciato a fare i conti con il paternalismo dei bianchi e a prenderne le distanze e ci aveva messo di fronte al protagonismo degli Indios e al dolore gridato dai loro capi a seguito di una storia di oppressione ancora tutta da riscattare.

Ma a Nairobi il salto e’ stato anche qualitativamente inaspettato e, almeno per noi italiani, del tutto imprevisto: di questo Forum non ci sono tanto leader o « guru » da ricordare, quanto una moltitudine di poveri che e’ venuta a prenderne possesso. Sessantamila sono i partecipanti registrati venuti dagli slums e dai villaggi contadini della cintura dell’altipiano. Venuti per dire che il Forum e’ innanzitutto loro, degli esclusi, che prendono coscienza. E che gli altri, quelli come noi, devono innanzitutto saper ascoltare. Così noi Europei abbiamo avuto un’occasione piena per ripensare noi stessi, per rielaborare e aggiornare il ruolo di una sinistra sociale troppo pigra e cosi’ poco umile da non saper costruire colla forza dei fatti un rapporto con l’Africa, ancor oggi colonizzata dal nostro comportamento e dal mantenimento di un livello di vita oggettivamente in collisione con prospettive planetarie di giustizia sociale.

Occorre ricordare che le milleduecento assemblee del Forum sono state quasi sempre condotte dagli africani, che si sono finalmente parlati tra di loro, dimostrando tutta la vitalita’ di una societa’ civile ad ispirazione panafricana in continua crescita. Ma, soprattutto, va rimarcato che a conclusione del Forum e’ partita una indimenticabile marcia, che ha attraversato per 20 chilometri i ghetti di Nairobi, la metropoli della miseria, sprofondati tra le discariche putride e gli enormi scavi messi a nudo per la costruzione dei palazzi della metropoli delle multinazionali. Cosi’ i confini del Forum si sono dilatati ben al di la’ del complesso dello stadio Kasarani, che ne era stato la sede naturale per i primi quattro giorni. Marciare attraverso gli slums e vedere il corteo gonfiarsi all’inverosimile di abitanti giovanissimi e poverissimi, ma tuttaltro che rassegnati, e’ stato impressionante e cosi’ sconvolgente da rendere dolorosa la nostra impotenza. In fondo pero’ ne e’ uscito un messaggio realisticamente ottimista: la loro lotta e la loro speranza danno una ragione alla nostra solidarieta’, che deve pero’ smettere di essere declamatoria, sostanzialmente paternalista e, quindi, inconsistente per la drammatica condizione di quelli a cui è destinata.

Quindi, gli Africani sono entrati a modo loro nel Forum Mondiale, che non sara’ piu’ eguale a prima. Fin dal giorno dopo l’inaugurazione ufficiale sono entrati sfondando i cancelli, per partecipare in massa e di diritto all’evento. Sono entrati ancor più l’ultimo giorno, portandoci per mano nel cuore delle loro comunita’ devastate dall’indigenza e dall’insalubrità, ma tanto materialmente fatiscenti quanto ormai politicalmente rilevanti e impossibili da occultare. Ci hanno infatti chiesto di prendere coscienza diretta delle nostre responsabilita’ attuali, del desolante abbandono a cui li costringiamo e ci hanno imposto di fare della lotta alla poverta’ uno dei perni per un altro mondo possibile.

Quando, alla fine della marcia, sudatissimo e con la polvere dentro i polmoni, ricevo una chiamata da Radiopopolare, provo a comunicare l’emozione di assistere ad una presa di coscienza e alla formazione di reti di relazioni solidali da parte di una societa’ che non rinuncia alla sua identita’ anche sotto i colpi di un implacabile liberismo neocoloniale. A conclusione della breve intervista, mi si dice che lo scandalo della corruzione delle cliniche private in Lombardia si sta ampliando. Mi sento essenzialmente un eletto nel consiglio regionale che prova una rabbia tremenda a vedere premiata nella sua regione una politica di messa sul mercato di valori e diritti e che si chiede come mai su 215 amministratori italiani presenti al Forum solo 8 provengano dalla Lombardia. E allora penso: non e’ ora che, a sinistra, ci si interroghi su perche’ sia così forte la regressione politica e culturale che colpisce i territori dove Formigoni e la Lega sono cosi’ spesso debolmente contrastati ?